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RIFLESSIONI: TOOLBOOK NELLA SCUOLA

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In queste pagine ospitiamo volentieri riflessioni sull'uso di ToolBook nella produzione multimediale e nella didattica. Chi volesse contribuire ad arricchire quest'area può inviare un messaggio a Mario Rotta.

ToolBoook nella scuola. Un contributo di Alessandro Rabbone

Docenti e ToolBook

di Alessandro Rabbone

Queste brevi riflessioni fanno seguito al workshop "ToolBook nella scuola" (Thug -maggio '99) e vogliono costituire solamente uno spunto per la discussione. Tra i sistemi autore per la produzione multimediale di buon livello ToolBook, con le sue innumerevoli versioni, è, nella scuola, sicuramente il più conosciuto ed il più utilizzato dagli stessi insegnanti, oltre che dagli sviluppatori professionali. Se si guardano le cose dal punto di vista dell'insegnante che deve utilizzarne concretamente i prodotti, viene spontaneo il chiedersi quali siano, esattamente, i criteri e le finalità didattiche con cui vengono realizzate le varie applicazioni.
Su questo punto, a mio parere, permane, in generale, una certa diffusa incertezza, o perlomeno una non precisa consapevolezza degli obiettivi.
Distinguiamo innanzitutto tra applicazioni - strumenti per insegnanti ed applicazioni - ambiente rivolte direttamente agli studenti. Del primo gruppo fanno parte applicazioni che rendono possibile per qualsiasi insegnante, magari con minime competenze informatiche, con poco tempo a disposizione, o sprovvisto di strumenti di sviluppo, il costruirsi e personalizzarsi strumenti di lavoro efficaci. Un classico esempio potrebbe essere un'applicazione che consente al docente la costruzione di test o questionari a scelta multipla da sottoporre poi agli studenti. Il gruppo delle applicazioni rivolte agli studenti appare attualmente molto più vasto e differenziato e proprio su questo vorrei soffermarmi, operando ulteriori distinzioni. Esistono, innanzitutto, prodotti per gli studenti, costruiti al di fuori del laboratorio o dell'aula scolastica (non importa, ai fini della discussione, se da insegnanti o da sviluppatori di professione). Ovviamente, si trova qui una gran varietà di contenuti, più o meno disciplinari, e di modalità "comunicative" (ad iniziare dalla struttura stessa dell'applicazione e dalla sua interfaccia).

Ciò che mi interessa sottolineare è che quasi sempre queste applicazioni si richiamano a modelli pedagogici definiti. In altre parole presuppongono, o sottintendono, un modello teorico (psicologico) relativo al "come" lo studente apprende. In alcune applicazioni, ad esempio, è trasparente il ricorso al concetto di "rinforzo" di chiara derivazione comportamentista, teoria per cui un efficace percorso di apprendimento deve essere strutturato su un modello simile a quello di un diagramma di flusso. Altre applicazioni - ambienti, invece, fanno riferimento a concetti quali quello di "immersività" e richiamano implicitamente teorie dell'apprendimento che attribuiscono molta importanza al coinvolgimento percettivo - emotivo, alla ludicità ed alla motivazione. Ancora. Alcune proposte, caratterizzandosi come ambienti "aperti", si differenziano da altre che prospettano allo studente obiettivi operativi predefiniti e quindi un ristretto numero di attività possibili [1]. L'esempio più evidente della tipologia di applicazioni "aperte" è Amico che consente addirittura allo studente la creazione di applicazioni proprie. La relazione tra questo tipo di proposte e le teorie pedagogiche costruttiviste è più che evidente. Tra le applicazioni più strettamente e tradizionalmente "didattiche" e quelle cosiddette di "edutainment", o tra gli ambienti "chiusi" e quelli "aperti", esiste naturalmente una vasta gamma di piccole differenze e di sfumature. Non si tratta ora di attribuire un giudizio di valore educativo all'una o all'altra tipologia (che dovrebbe certamente variare in funzione dei contenuti specifici, degli obiettivi e dei destinatari), ma la domanda che ci si pone è se l'adozione implicita di un modello di apprendimento piuttosto che di un altro sia sempre una scelta consapevole.....

Altro campo di impiego di ToolBook nella scuola è la costruzione da parte degli studenti dei cosiddetti "ipertesti". Oggi, nel gergo scolastico, la generica parola "ipertesto" sta ad indicare una varietà piuttosto ampia di applicazioni più o meno multimediali, nonostante alcuni puristi della lingua si ostinino a distinguere tra ipertesto, ipermedia, applicazione multimediale ecc... E' quasi unanimemente accettata l'idea per cui il valore didattico - educativo di un'applicazione multimediale realizzata all'interno del laboratorio o nell'aula scolastica non risieda tanto nella qualità prodotto in se', quanto nel processo cognitivo - organizzativo richiesto per giungere alla sua realizzazione. In alcuni casi, tuttavia, p. es. per quanto riguarda le applicazioni prodotte da scuole superiori, il valore intrinseco del prodotto può essere tale da renderlo un efficace strumento didattico anche per altre realtà di apprendimento; questo rimane comunque, secondo me, un obiettivo secondario. In ogni caso, nel momento in cui un insegnante (o un gruppo di insegnanti) propone ai suoi studenti la realizzazione di un "ipertesto" dovrebbe porsi principalmente tre ordini di obiettivi:
1. Obiettivi cognitivi. Relativi ai contenuti (più o meno disciplinari). Se ad esempio si deve costruire un "ipertesto" di contenuto storico, sarà necessario che gli studenti conoscano (studino) il periodo storico in questione.
2. Obiettivi metacognitivi. Relativi all'organizzazione logica dei materiali. Il materiale grezzo (testi, immagini, animazioni, filmati, musiche...) andrà organizzato in una struttura dotata di "senso". L'attività di organizzazione e gerarchizzazione del materiale è un'attività essenzialmente "metacognitiva" poiché porta a ragionare non "dei" contenuti, ma "sui" contenuti.
3. Obiettivi relativi alla tecnologia utilizzata (e quindi ai linguaggi). Realizzare un'applicazione multimediale è cosa ben diversa dallo scrivere un libro o un giornalino. L'insegnante dovrà allora coinvolgere gli studenti in processi di riflessione e di decisione sulle modalità di presentazione dei contenuti (grafica, interfaccia di navigazione appropriata alla struttura complessiva...). Inoltre, nei casi in cui l'età e le abilità pregresse degli studenti lo consentano, anche l'apprendimento della programmazione (in OpenScript) dovrà essere uno degli obiettivi fondamentali.

Per quanto riguarda quest'ultimo punto (l'utilizzo di OpenScript), si pongono, nella scuola di base e soprattutto in quella elementare, seri problemi di compatibilità tra l'oggettivo livello di complessità del linguaggio e le capacità intellettive e cognitive dei ragazzi. Amico, "figlio" semplificato di ToolBook, rappresenta in molti casi un'ottima soluzione, ma proprio la semplicità d'uso di questo ambiente costituisce al contempo un grosso limite. Occorre infatti, ancora una volta, partire dalla chiarezza e dalla consapevolezza degli obiettivi didattici che si pone l'insegnante di scuola di base quando propone ai suoi alunni la costruzione di un "ipertesto". Se s'intende far acquisire ai ragazzi alcuni elementi essenziali (concetti fondamentali) della programmazione, allora Amico è senz'altro uno strumento inadeguato, in quanto privo di un proprio linguaggio [2]. Se invece l'obiettivo è piuttosto quello di coinvolgere i giovani studenti a livello di progettazione di un prodotto e di farli partecipare alla definizione, oltreché della struttura, anche dell'interfaccia, Amico risulta ancora uno strumento piuttosto limitato, in quanto le possibilità di scelta in questo senso sono modeste.
Tento di spiegarmi meglio con altre parole. Un bambino di scuola elementare può pensare e progettare interfacce e funzioni di un'applicazione anche piuttosto originali e complesse (p. es. il cambio di forma del puntatore, un drag and drop, un'animazione, l'apparizione di un viewer o di una finestra pop-up...) senza, ovviamente, possedere le relative capacità realizzative da un punto di vista della programmazione. Ora io mi chiedo se, per questo motivo, sia opportuno escludere a priori l'intervento dei bambini su questo piano.

Il bambino che progetta attivamente, e che quindi "dice la sua", anche da un punto di vista del modo di comunicare non è una raffinatezza didattica fine a se stessa. Molti hanno già osservato che i bambini di fronte al computer si comportano in maniera alquanto diversa rispetto agli adulti e fanno ricorso a "logiche" di approccio e di conoscenza affatto diverse, o che alcuni prodotti multimediali piacciono ai bambini, ma non agli adulti, o viceversa. Possiamo supporre che gli stessi processi percettivi del bambino siano differenti rispetto a quelli dell'adulto (p. es. la nota regola della psicologia della percezione per cui non si possono "vedere" contemporaneamente più di 7 ± 2 elementi alla volta, varrà anche per i bambini?).

Accanto ai prodotti ToolBook per i ragazzi, realizzati da adulti, e ai prodotti dei ragazzi, mi sento di proporre allora una terza possibile modalità di lavoro: i prodotti con i ragazzi. L'insegnante si metta in gioco con le proprie capacità e la propria esperienza, si faccia collaboratore ed "esecutore tecnico", anche nei minimi dettagli, della progettualità dei suoi alunni. In altre parole: si assuma in prima persona il carico di lavoro relativo alla programmazione in OpenScript. La messa in circolazione di esperienze di questo tipo potrebbe così essere un modo in cui si stimola e si forniscono idee alla comunità degli sviluppatori ed un modo in cui la scuola smette di essere utente puramente passivo ed inizia veramente a concorrere alla definizione delle modalità di utilizzo delle tecnologie.
Inoltre il cambio di prospettiva relazionale rappresentato da un insegnante che si facesse "collaboratore" dei ragazzi in vista di un obiettivo comune (ciascuno sarebbe tenuto a dare secondo le proprie capacità) e il clima educativo che ne conseguirebbe non potrebbero costituire che un'esperienza ricca e stimolante...

lunedì 31 maggio 1999

[1] Sulla questione della differenza tra ambienti di apprendimento "chiusi" ed "aperti" occorrerebbe aprire un ampio dibattito. Si prenda ad esempio il CD Rom (realizzato in Director) recentemente distribuito dal MPI a tutte le scuole per l'autoformazione degli insegnanti sulla legge 626/94 (sulla sicurezza). Nonostante l'obiettivo formativo sia piuttosto definito e circoscritto non è giustificata, a mio avviso, la struttura piuttosto rigida e chiusa che obbliga il discente a percorsi di apprendimento molto vincolati e lascia, in generale, scarse possibilità di modalità di apprendimento personalizzati. Tale limite didattico appare tanto più grave se si considera che, essendo il prodotto il primo distribuito ufficialmente su larga scala al personale docente di ogni ordine e grado, esso veicola implicitamente un modello didattico pedagogico perlomeno discutibile.

[2] In ordine ad un tale obiettivo appare molto più adeguato un ambiente come MicroWorlds (o Micromondi, in italiano), che pensato appositamente per la didattica e per i giovanissimi, rappresenta la felicissima scelta di non eliminare il linguaggio di programmazione, ma di rendere più semplice il linguaggio stesso. (Il linguaggio di Micromondi è il famoso Logo)..

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